Agenzia Hawzah News – Alla vigilia dell’anniversario dell’operazione Karbala-4 (4 Dey 1365 / 25 dicembre 1986), a Qom si è svolto un incontro di approfondimento dedicato ai religiosi e ai seminaristi caduti in questa operazione, con la partecipazione di combattenti religiosi presenti sul campo. Le loro testimonianze hanno offerto uno sguardo diretto su una delle operazioni più dure della Difesa Sacra (guerra Iran-Iraq, 1980–1988).
Secondo Nikbakht, comandante dei Pasdaran, per comprendere appieno l’operazione Karbala-4 è necessario richiamare due fattori centrali. Il primo è il caso McFarlane e la successiva ritorsione degli Stati Uniti che, dopo il fallimento di quel progetto, misero a disposizione dell’Iraq informazioni satellitari decisive, contribuendo allo svelamento dell’operazione e alla preparazione accurata delle difese irachene. Il secondo riguarda il ruolo dell’Armata Muhammad (S) dei Pasdaran, una forza di circa centomila uomini concepita per imprimere una svolta decisiva al conflitto e avviarne la fase conclusiva. Dopo il successo di Valfajr-8, culminato nella conquista di Fāw, la strategia iraniana mirava infatti a stringere ulteriormente l’Iraq, limitarne l’accesso alle acque libere e costringerlo a porre fine alle ostilità.
La guerra è definita “Difesa Sacra” perché, per la prima volta nella storia dell’Iran contemporaneo, i religiosi e i seminaristi entrarono nel conflitto come un corpo sociale compatto, schierato accanto al popolo e allo Stato e guidato da un’autorità religiosa. Nei primi anni della guerra, i religiosi erano circa 20.000 e quasi tre quarti di essi parteciparono attivamente allo sforzo bellico, operando non solo al fronte, ma anche nelle retrovie, nella logistica e nel sostegno morale e spirituale ai combattenti.
L’operazione Karbala-4 coinvolse quattro grandi comandi — Najaf, Qods, Karbala e Nūh — e un arco di obiettivi che si estendeva da Khorramshahr fino alle porte di Bassora, includendo le isole di Umm al-Rasās e Umm al-Bāwī. L’attacco, fissato per le 22:30 e preceduto dalla parola d’ordine “O Messaggero di Dio”, era tuttavia già stato intercettato dal nemico. Le acque basse dell’Arvand Rūd, illuminate a giorno dai bengala, trasformarono i seminaristi-sommozzatori in bersagli diretti del fuoco incrociato di mitragliatrici, mortai e artiglieria antiaerea.
Le testimonianze dei seminaristi e dei religiosi combattenti restituiscono un quadro drammatico dell’avanzata nelle acque dell’Arvand Rūd sotto un fuoco incrociato incessante, del recupero dei feriti e dei caduti, dell’impossibilità materiale di ritirarsi e del successivo combattimento ravvicinato, casa per casa, nelle isole occupate. Numerosi seminaristi operarono in prima linea come comandanti, mitraglieri, operatori RPG, timonieri delle imbarcazioni, barellieri e operatori di sostegno morale. Alcuni rimasero feriti e caddero prigionieri; altri furono uccisi dopo ore di resistenza isolata, continuando a combattere fino all’ultimo.
Tra la sera e l’alba del 4 Dey, ben 137 seminaristi caddero martiri in un solo giorno, un evento senza precedenti nell’intera guerra. Il numero complessivo dei religiosi martiri dell’operazione salì così a circa 178. Anche intere famiglie furono colpite da questo sacrificio, come quella dei fratelli Abdūs, entrambi religiosi, che offrirono la propria vita in due operazioni consecutive.
Come ha spiegato il brigadiere Hojjatoleslam Mojtaba Zonnouri, Karbala-4 non fu definita una sconfitta, ma un “mancato conseguimento dell’obiettivo”: un’operazione che, pur senza raggiungere i risultati prefissati, inflisse un duro logoramento al nemico e ne compromise seriamente la capacità di tenuta, preparando il terreno alla successiva Karbala-5. Nel bilancio storico e umano dell’operazione, il messaggio condiviso dai testimoni emerge con chiarezza: i religiosi e i seminaristi non chiamarono il popolo alla guerra restando nelle retrovie, ma furono presenti in prima linea, trasformando il proprio sacrificio in uno scudo a difesa del popolo e del paese.
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