Agenzia Hawzah News – L’idea di un «salvatore» e il concetto di «attesa della salvezza» occupano un posto centrale e profondamente radicato nella religione ebraica. I testi sacri, dall’Antico Testamento agli scritti dei profeti, delineano più volte un futuro segnato dalla giustizia e dalla restaurazione, rivelando così la speranza storica del popolo ebraico nella venuta di un salvatore promesso.
Questa attesa non si limita a una semplice convinzione spirituale, ma rappresenta una risposta storica alle prove, alle difficoltà e alle sofferenze attraversate dal popolo ebraico, diventando nel tempo una speranza costante di giustizia, redenzione e liberazione.
Il tema dell’attesa del salvatore nella tradizione ebraica
Nel salmo 37 del Libro dei Salmi si legge: «Non disperare per la presenza degli empi e degli ingiusti, perché la loro discendenza sarà estirpata; gli attenti alla giustizia erediteranno la terra e vi vivranno fino alla fine dei tempi». Questo passo testimonia come la speranza in un futuro fondato sulla giustizia fosse già presente nell’Antico Testamento.
L’attesa del salvatore si fece particolarmente intensa durante la dominazione romana in Palestina. Quando Giovanni Battista proclamò: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino», le masse accolsero il suo messaggio con entusiasmo, riconoscendovi una promessa di giustizia e liberazione. Per secoli, il popolo ebraico ha sopportato umiliazioni e sofferenze sostenuto dalla speranza che un giorno un salvatore sarebbe venuto a liberarlo e guidarlo.
Ancora oggi, i sionisti occupanti della Palestina, oltre alle consuete preghiere messianiche recitate al termine delle cerimonie per l’anniversario della fondazione del regime usurpatore di Israele, celebrato il quinto giorno del mese ebraico di Iyar, dopo il suono rituale dello shofar recitano questa preghiera: «Sia volontà del Signore, nostro Dio, che per sua grazia possiamo assistere all’alba della libertà e che il suono della tromba del Messia accarezzi le nostre orecchie».
Mosè, Davide e l’ideale del salvatore
È del tutto naturale che il popolo dei figli d’Israele, segnato da un passato difficile, fosse proiettato verso l’attesa di un futuro migliore. Per questo, fin dai tempi di Mosè, accolto con fiducia come liberatore, il desiderio di un salvatore prese forma e si consolidò nei periodi di prova senza mai abbandonare la coscienza collettiva. Con l’elezione di Davide a re, questa attesa trovò una concreta realizzazione simbolica: Davide divenne il modello del re ebreo, incarnando l’ideale di giustizia e di guida divina e affermandosi come archetipo della figura del Messia, al punto che alcuni profeti e sapienti giunsero persino a identificarlo con il Messia stesso. L’epoca di Davide e Salomone rappresentò così una fase di particolare fioritura dell’ideale messianico.
Con la divisione del regno di Israele, l’attesa di un salvatore si intensificò. I profeti contribuirono a mantenere viva questa speranza, delineando la figura di un salvatore che avrebbe portato pace, giustizia e la benedizione divina al mondo. Isaia descrive un regno ideale, nel quale «il mondo sarà pieno della conoscenza di Dio, come le acque coprono il mare», mentre Sofonia prefigura un’era di riforma universale, in cui tutte le nazioni adorano Dio all’unisono.
Secondo il Talmud, il salvatore sarà un discendente della casa di Davide, un uomo la cui santità deriva dai suoi doni naturali. Egli instaurerà la giustizia, sconfiggerà gli empi e rafforzerà il popolo di Israele.
Conclusione
La fede nella venuta di un salvatore promesso costituisce un elemento centrale del giudaismo, profondamente radicato nei testi sacri e nella storia del popolo ebraico. L’Antico Testamento e gli scritti profetici delineano una redenzione fondata su giustizia, pace e guida divina, maturata soprattutto nei periodi di sofferenza. Figure come Mosè e Davide incarnano l’ideale del liberatore e del re giusto, mentre i profeti ampliano l’orizzonte messianico fino a una speranza di portata universale. Nel corso dei secoli, questa attesa ha accompagnato il popolo ebraico nelle prove della storia, offrendo consolazione e sostegno di fronte alle ingiustizie e intrecciando dimensione religiosa, memoria storica e identità culturale. Questa tradizione, tuttavia, non coincide con progetti politici contemporanei: quando il regime di Tel Aviv si presenta come realizzazione o garante della salvezza, svuota l’ideale messianico del suo fondamento etico, basando il potere su occupazione, violenza e negazione della giustizia. Nel giudaismo, la speranza messianica resta comunque un criterio morale e spirituale, non una legittimazione del dominio.
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