Tuesday 21 October 2025 - 14:00
La scuola di Hafez come terapia contro la rabbia errante

In un contributo scritto per la Giornata dedicata a Hafez (12 ottobre), l’Hojjatoleslam Hossein Doroudi, autore del volume Sohbat-e Jānān sull’interpretazione dei versi del Lisan al-Ghayb (“Lingua dell’Invisibile”, titolo attribuito a Hafez), ha proposto una riflessione educativa incentrata sulla gestione della rabbia errante. Secondo Doroudi, la via per liberarsi da questa rabbia risiede nel ritorno al “sé divino” e nel superamento del “sé estraneo”, e ha sottolineato il ruolo centrale dell’educazione e delle scuole nella formazione di questo sé autentico.

Agenzia Hawzah News – Nel suo scritto, Doroudi si interroga sul motivo per cui l’essere umano soffre per la rabbia generata dal proprio sé, e afferma che per gestirla e trasformarla in risorsa è necessario fondarsi su Dio, non sull’uomo. Per rispondere a questa domanda, propone un’indagine sul concetto di “sé”, spiegando che ogni persona possiede un sé fiduciario e divino, donato da Dio: «E ho soffiato in lui del Mio spirito» (Sura Sad, 38:72). Questo versetto, pur non attribuendo a Dio caratteristiche fisiche, indica che l’essere umano ha ricevuto da Dio la responsabilità di custodire quel sé, e per questo può ospitare il suo Creatore nel cuore.

Doroudi si chiede: è possibile che un essere materiale e limitato ospiti il Creatore illimitato? La risposta è affermativa: superando le suggestioni di Satana e dominando l’anima istigatrice, l’essere umano può elevarsi al di sopra degli angeli.

Hafez e la gestione della rabbia errante

Commentando questi versi di Hafez — «Finché vedi solo merito e intelletto, non ti siedi con chi è privo di conoscenza / Ti dico una cosa: non contemplare te stesso, semmai tu voglia salvarti» — Doroudi osserva che la liberazione dalla rabbia errante, quella che si oppone al sé divino e fiduciario, richiede il distacco dal sé estraneo. Questo sé, che ostacola la scelta consapevole e impedisce di accogliere il Dio misericordioso nel cuore, va lasciato alle spalle affinché non continui ad alimentare la rabbia interiore.

Il sé estraneo nel linguaggio quotidiano

Doroudi osserva che nelle interazioni sociali quotidiane si sente spesso l’espressione “prima Dio, poi tu”, una formula che genera dualismo e confusione identitaria. L’essere umano non sa più quale sé difendere: quello unico e divino, o quello frammentato ed estraneo. Questo sé non invitato — o erroneamente imposto — continua a reclamare spazio, ricattando il custode puro del nostro interno. È per questo che, al termine della maggior parte delle nostre attività e iniziative, ci ritroviamo a fare i conti con un senso di odio verso noi stessi; e quando questo sentimento si intensifica e si incancrenisce, alcuni membri della società arrivano a distruggere il proprio corpo — atto erroneamente noto come “suicidio” — oppure a sopprimere i propri talenti e la propria funzione sociale, scambiando questa negazione per una strategia di vita.

La via di salvezza dal sé estraneo

Nel verso «Nel mio cuore affranto non so chi dimori / Io taccio, eppure lui è in clamore e tumulto», Hafez indica che la salvezza dalla rabbia distruttiva generata dal sé estraneo passa attraverso il silenzio e l’assenza di dialogo con l’intruso. Occorre ascoltare soltanto il sé fiduciario e divino, lasciando che sia lui a gestire la forza della rabbia.

La scuola come presidio contro la rabbia estranea

Le scuole fedeli ai principi del Corano e dell’Islam autentico sono quelle che sanno proteggere il sé fiduciario e divino — cioè il sé innato — degli studenti. Quando questa protezione è reale, nasce un clima di sicurezza e serenità tale che nessuno studente desidera abbandonare la classe o allontanarsi dall’ambiente del sapere e dell’apprendimento. Questo perché la rabbia che li abita viene incanalata e gestita dal loro sé unico e divino, non da un sé estraneo alla natura umana.

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