Agenzia Hawzah News – Negli ultimi giorni è riemerso il consueto riflesso mediatico che accompagna ogni fase di distensione con l’Iran: un nuovo “scoop” occidentale che insinua ambiguità, mette in circolo sospetti e presenta attività tecnologiche dual-use come indizi di un programma occulto. L’inchiesta del Financial Times sulla presunta delegazione scientifica iraniana in Russia si inserisce perfettamente in questo schema, basandosi su documenti parziali, fonti anonime e interpretazioni che fanno più rumore politico che analisi oggettiva.
La realtà, però, è più solida di qualsiasi narrazione emergenziale. L’Iran è stato per anni uno dei Paesi più monitorati al mondo, con un regime di ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che nessun altro Stato della regione e del mondo ha mai accettato. Per oltre due anni consecutivi, l’AIEA ha certificato che Teheran rispettava pienamente il JCPOA. È stato invece Washington a violare l’accordo ritirandosi unilateralmente e imponendo nuove sanzioni, nonostante l’adempimento iraniano fosse incontrovertibile. Anche dopo l’uscita degli Stati Uniti, l’Iran ha continuato per mesi a mantenere gli obblighi previsti, prima di ridurli gradualmente e in risposta a una violazione iniziale non sua.
A questo si aggiunge un elemento raramente discusso nelle analisi occidentali: l’Iran ha subito attacchi, sabotaggi e perfino assassinii di scienziati proprio mentre partecipava a negoziati richiesti dagli stessi Stati Uniti. Episodi che avrebbero potuto far deragliare qualunque processo diplomatico e che, in molti altri contesti, avrebbero provocato reazioni ben più dure. Teheran, invece, è rimasta per anni vincolata a una linea ufficiale che esclude l’arma nucleare dalla propria dottrina, una posizione ribadita pubblicamente e mai smentita nei fatti.
Presentare ogni attività scientifica iraniana come una minaccia, mentre si tace sul contesto di sanzioni, attacchi e violazioni subite, significa alimentare un doppio standard che ha già dimostrato di essere pericoloso. La storia recente insegna dove conducono le narrazioni costruite attorno a sospetti tecnologici trasformati in pretesti politici.
Oggi servirebbe maggiore sobrietà, non nuove semplificazioni. L’Iran non merita l’ennesimo processo mediatico, ma un’analisi equilibrata che riconosca i fatti: il rispetto degli obblighi internazionali, la disponibilità al negoziato e le ripetute violazioni subite da parte di chi oggi pretende di giudicare. Solo a partire da questa verità si può sperare di evitare che l’ennesima ondata di insinuazioni venga usata per alimentare tensioni di cui il mondo non ha alcun bisogno.
Mostafa Milani Amin
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