Agenzia Hawzah News – In un tempo segnato da scelte rapide, pressioni sociali e incertezza diffusa, l’Islam propone una via di discernimento che non elude la responsabilità, ma la illumina: l’istikhara.
Letteralmente “chiedere il bene”, l’istikhara è una pratica spirituale che nasce dall’incontro tra fede e ragione. Non è un gesto superstizioso, né un automatismo rituale: è un atto consapevole, un invito a sospendere l’ansia della decisione per affidarsi alla guida divina.
La sua origine risale al Profeta Muhammad (S), che insegnava ai suoi compagni a non intraprendere alcuna scelta importante senza aver prima chiesto il bene a Dio. «Quando uno di voi è incerto su una questione — diceva — compia due rakʿāt di preghiera e poi reciti la supplica dell’istikhara».
Una pedagogia spirituale
L’istikhara non è solo una tecnica decisionale: è una pedagogia spirituale. Insegna a non agire d’impulso, a non lasciarsi guidare solo dal calcolo, a non temere l’incertezza. Insegna a rallentare, a pregare, a fidarsi.
Secondo la tradizione sciita, l’istikhara non sostituisce la ragione, ma la completa. Prima si riflette, si consulta, si pondera. Solo quando il cuore resta incerto, si ricorre all’istikhara come gesto di affidamento e apertura. È un modo per dire: “Signore, se questo è bene, facilitamelo; se è male, allontanalo da me e rendimi soddisfatto del Tuo decreto.”
Le forme dell’istikhara
Le modalità sono molteplici, ciascuna con una propria logica spirituale e un proprio linguaggio interiore.
Istikhara con il Corano: è la forma più solenne e diffusa; dopo aver recitato la relativa supplica, si apre il Libro con intenzione pura; all’inizio della pagina destra del punto in cui si è aperto, il primo versetto che appare viene interpretato come segno divino: se parla di misericordia, pazienza, successo o luce, è un’indicazione positiva; se evoca castigo, divieto o turbamento, è un segnale di cautela.
Istikhara con il misbaha (rosario islamico): è una forma più semplice e accessibile; dopo la preghiera, si contano i grani del misbaha: se ne resta uno solo, è un buon segno; se sono pari, si consiglia di evitare.
Istikhara con la preghiera e l’intuizione: si compiono due rakʿāt, si recita la supplica, poi si ascolta il cuore; l’orientamento che emerge interiormente viene accolto come segno.
Istikhara con il Divān di Hafez: nella cultura iraniana, è diffusa la pratica di aprire il canzoniere del poeta e leggere un ghazal come forma di istikhara poetica. Questa combinazione tra tradizione religiosa e sensibilità letteraria ha reso l’istikhara con Hafez una componente viva della quotidianità spirituale di molti iraniani. Pur non confermata dalle fonti del fiqh, continua a essere vissuta come gesto significativo in ambito culturale e personale.
Le fonti imamiche
Gli Imam hanno trasmesso diverse forme di istikhara, ciascuna con una propria profondità spirituale.
Yasʿ ibn ʿAbd Allāh Qummī riferisce di aver detto all’Imam Ṣādiq (A): “Talvolta desidero compiere un’azione, ma sono incerto se procedere o meno”. L’Imam gli rispose: “Nel momento della preghiera — quando il demonio è più lontano dall’essere umano — apri il Corano e segui il primo versetto che appare all’inizio della pagina destra”. (Biḥār al-anwār, vol. 91, p. 265)
Secondo quanto trasmesso dall’Imam Bāqir (A), ogni volta che l’Imam Sajjād (A) intendeva compiere un’azione, compiva il wudūʾ, recitava due rakʿa di preghiera, poi invocava il bene da Dio per duecento volte, formulava una supplica e infine procedeva con l’azione.
Tra le suppliche di istikhāra riportate da ʿAlī ibn Ṭāwūs, ne figura una attribuita all’Imam Mahdi (A), da recitare in momenti di bisogno e indecisione. In essa si invocano i Nomi divini con cui Dio ha soggiogato i cieli e la terra, ha reso obbedienti le creature, ha trasformato il bastone di Mosè in segno di verità, ha orientato i cuori dei maghi verso la fede. Si implora la Sua potenza — quella che rinnova ogni cosa — affinché faciliti ciò che è bene per la religione, la vita terrena e l’aldilà, e allontani ciò che è dannoso. La supplica culmina con l’invocazione “affinché il cuore sia soddisfatto del decreto divino, senza desiderare l’anticipo di ciò che è stato posticipato né il ritardo di ciò che è stato anticipato: perché non c’è forza né potere se non in Dio, l’Eccelso, il Maestoso, il Detentore della gloria e della generosità”.
Queste suppliche non sono formule magiche, ma atti di resa consapevole. Ogni parola è un passo verso la fiducia, ogni versetto è un segno da accogliere, non da manipolare.
Le condizioni dell’istikhara
Perché l’istikhara sia valida e benefica, è necessario rispettarne le condizioni.
- Niyyah sincera: l’intenzione deve essere pura, senza secondi fini.
- Precedenza alla riflessione: prima si consulta la ragione, poi si chiede il segno.
- Una sola volta: l’istikhara non va ripetuta per ottenere la risposta desiderata.
- Accettazione del risultato: qualunque sia il segno, va accolto con serenità.
- Evitarne l’abuso: l’istikhara non è uno strumento per ogni decisione banale, ma per i momenti in cui la coscienza è sospesa tra due vie.
Una guida per la vita
L’istikhara è una scuola di fiducia. Insegna a non forzare la realtà, a non piegare il segno al proprio volere, a non cercare conferme ma orientamento.
In un mondo che esige scelte rapide e produce ansia, l’istikhara invita a un’altra postura: quella dell’attesa, dell’ascolto, della resa fiduciosa. È un modo per ricordare all’essere umano la propria dipendenza dalla guida e dal decreto divino.
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