Sunday 19 October 2025 - 11:11
«No Kings»: l’America in piazza contro Trump e il culto del potere

Milioni di cittadini protestano contro la deriva autoritaria dell’amministrazione Trump. Dall’uso politico dell’esercito alla censura mediatica, il presidente estende i propri poteri sfidando prassi costituzionali e contrappesi istituzionali.

Agenzia Hawzah News – Sabato 18 ottobre 2025, milioni di cittadini statunitensi hanno manifestato in oltre 2.700 località del Paese contro l’amministrazione Trump, denunciando quella che definiscono una deriva autoritaria. Lo slogan unificante: «No Kings».

La mobilitazione, promossa dal movimento omonimo, ha coinvolto metropoli come New York, San Francisco e Chicago, ma anche centinaia di piccoli centri. In diverse città è stata segnalata una forte presenza militarizzata, con il dispiegamento della Guardia Nazionale, spesso contro la volontà delle autorità locali.

La protesta odierna riprende quella già scoppiata il 14 giugno, giorno del Flag Day e compleanno di Trump, quando oltre cinque milioni di persone scesero in piazza per contestare la repressione dei migranti e l’uso politico delle forze armate.

Lo slogan «No Kings» è diventato il simbolo di un rifiuto trasversale del culto della personalità e della verticalizzazione del potere. In un’intervista rilasciata a Fox News, Trump ha replicato seccamente: «Non sono un re».

Manifestazioni di solidarietà si sono svolte anche in Europa, con raduni a Parigi, Berlino, Roma e Madrid. A Parigi, centinaia di espatriati americani hanno animato il centro cittadino con cartelli e cori contro le politiche presidenziali, mentre Trump si è ritirato nella sua residenza di Mar-a-Lago.

La protesta si inserisce in un contesto più ampio: da quando è tornato alla Casa Bianca lo scorso gennaio, Donald Trump ha adottato un approccio sempre più estensivo all’uso dei poteri presidenziali, spesso forzandone i limiti.

Tra le prime misure adottate, figura l’espulsione forzata di 200 immigrati venezuelani, rimpatriati a marzo verso El Salvador in violazione di un ordine giudiziario. A questa si è aggiunto il dispiegamento della Guardia Nazionale a Los Angeles e Washington, deciso senza il consenso dei governatori locali, con l’intenzione dichiarata di estendere l’intervento ad altre città, come Memphis.

Ha cercato di rimuovere funzionari pubblici sgraditi, tra cui Lisa Cook (Federal Reserve) e Susan Monarez (CDC), per motivi politici o ideologici. Ha avviato una campagna contro le università statunitensi, minacciando tagli ai fondi pubblici per gli atenei che non si adeguano alle sue richieste. Le accuse ufficiali riguardano la gestione dell’antisemitismo nei campus, ma secondo molti osservatori si tratta di un attacco politico contro istituzioni considerate troppo progressiste. Columbia ha mostrato apertura, Harvard ha fatto causa.

L’episodio più emblematico, risalente al mese scorso, riguarda i media: Trump ha chiesto alla Commissione federale per le comunicazioni (FCC) di revocare le licenze alle emittenti televisive critiche nei suoi confronti. A seguito di una battuta sgradita al capo della FCC, Brendan Carr, la rete ABC ha sospeso il talk show di Jimmy Kimmel.

Inoltre, Trump ha fatto ampio ricorso alla dichiarazione di “emergenza nazionale”, che gli consente di aggirare il Congresso e adottare misure immediate tramite ordini esecutivi. Ha usato questo strumento per espellere immigrati, imporre dazi e sanzioni, persino contro la Corte penale internazionale.

Secondo il giornalista Adam Kushner, per Trump l’emergenza è ormai «uno stile di governo». I giudici che vogliono bloccare le sue decisioni devono valutare se si tratti di un’emergenza reale, ma il principio della «presunzione di regolarità» complica ogni intervento.

La maggioranza conservatrice della Corte Suprema (6 giudici su 9) e il controllo repubblicano del Congresso consolidano ulteriormente la posizione di Trump, e anche il Partito Repubblicano appare sempre più allineato alle sue direttive.

In questo contesto, lo slogan «No Kings» non è soltanto una protesta politica, ma l’espressione di una preoccupazione profonda per la tenuta delle istituzioni democratiche. È un appello collettivo alla difesa della Costituzione, alla separazione dei poteri e al rifiuto di ogni forma di personalismo autoritario.

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