Agenzia Hawzah News – L’uso di sostanze stupefacenti è una delle sfide più gravi della società contemporanea. Poiché i seminaristi e i divulgatori religiosi sono in contatto diretto con la gente, è indispensabile che conoscano la natura della tossicodipendenza e le modalità corrette di interazione con chi ne è colpito. In questo quadro, l’Hojjatoleslam Emamian – psicologo clinico e consulente specializzato nel trattamento delle dipendenze – ha illustrato i punti fondamentali che un seminarista deve conoscere prima di affrontare un dialogo con una persona affetta da dipendenza.
Le tre fasi della tossicodipendenza
- Esperienza iniziale e impulso a ripetere: il primo consumo provoca un piacere intenso ma di breve durata, che alimenta la spinta a ripetere l’esperienza.
- Dipendenza: progressivamente corpo e mente si abituano alla sostanza; senza di essa, le funzioni quotidiane vengono compromesse.
- Tolleranza e aumento del consumo: l’organismo richiede dosi sempre maggiori per ottenere lo stesso effetto, con ripercussioni gravi su salute, relazioni e vita sociale.
Dipendenza fisica e psicologica
La dipendenza fisica, pur grave, rappresenta solo una parte del problema e può essere trattata con cure mediche.
La dipendenza psicologica è la dimensione più difficile: la sostanza appare come un “rifugio” sempre disponibile, sostituendo relazioni e affetti. Senza un’alternativa affettiva e spirituale, il rischio di ricaduta è altissimo.
Tipologie di consumatori
- Consumatori di sostanze “nere” (oppio e derivati), più diffusi tra adulti e anziani.
- Consumatori di sostanze “bianche” (cocaina e metanfetamine), con effetti rapidi e altamente distruttivi.
- Consumatori di farmaci psicotropi (benzodiazepine, ipnotici), spesso inconsapevoli della dipendenza che ne deriva.
- Consumatori di cannabis e derivati, che tendono a considerare il consumo un passatempo innocuo, ignari però delle considerevoli conseguenze psicologiche e cognitive nel lungo periodo.
Dipendenti “ordinari” e “dichiarati”
- Dipendente ordinario: tossicodipendente che conserva ancora legami familiari e sociali, tende a nascondere la propria condizione e può mostrare motivazione al trattamento.
- Dipendente dichiarato: consuma apertamente in pubblico, ha perso casa e famiglia e rifiuta ogni trattamento.
Per i primi, il seminarista può avviare un percorso di sostegno; per i secondi, è necessario il rinvio a centri specializzati.
L’insostituibile ruolo della disintossicazione
Finché la persona è sotto l’effetto della sostanza, prevale una sorta di “seconda identità” che rende impossibile un dialogo razionale. Il primo passo è sempre la disintossicazione fisica in centri qualificati. Solo dopo questa fase il seminarista può avviare un intervento educativo e spirituale.
Il ruolo della fede e della spiritualità
Fase iniziale: la religione agisce come fonte di motivazione e speranza, restituendo fiducia e senso di valore.
Fase di trattamento e mantenimento: gli insegnamenti religiosi e spirituali diventano strumenti profondi di ricostruzione psicologica e comportamentale.
Esperienze nei centri di recupero hanno mostrato che pratiche come la recitazione della Ziyarat Ashura, le cerimonie di Muharram e Fatimiyya e gli incontri religiosi riducono in modo significativo aggressività e comportamenti autolesivi.
Indagini su oltre mille pazienti hanno confermato che l’86% stabilisce un rapporto di fiducia più forte con divulgatori religiosi rispetto a terapeuti laici.
Malattia o reato?
La tossicodipendenza è innanzitutto una malattia, che richiede comprensione e trattamento. Tuttavia, essa può assumere anche la dimensione di reato quando sfocia in comportamenti che violano la legge, come furti, aggressioni o disturbo dell’ordine pubblico.
Il seminarista deve saper distinguere con chiarezza tra:
- la persona malata, che necessita di cura, accompagnamento e sostegno educativo;
- la persona che, oltre alla dipendenza, compie atti criminali, e che pertanto deve essere indirizzata non solo verso percorsi terapeutici, ma anche verso le responsabilità legali previste dalla giustizia.
Questa distinzione è fondamentale per evitare stigmatizzazioni: la dipendenza non annulla la dignità della persona, ma quando si accompagna a condotte criminali richiede un approccio integrato, in cui la dimensione medica e spirituale si affianca a quella giuridica e sociale.
Perché si ricade?
La ricaduta non è un semplice “fallimento”, ma il risultato di fattori complessi che coinvolgono corpo, mente e ambiente sociale. La disintossicazione fisica rappresenta soltanto il primo passo: la vera purificazione richiede invece equilibrio psicologico, stabilità sociale e un percorso spirituale capace di restituire fiducia e senso di valore. È alla luce di questa distinzione che emergono i principali fattori di rischio:
- pressioni familiari e sociali: accuse ingiuste, diffidenza o mancanza di fiducia generano frustrazione e possono spingere il paziente a tornare alla sostanza;
- accessibilità delle sostanze: la facilità di reperimento e la presenza di ambienti favorevoli al consumo rendono fragile ogni progresso;
- assenza di sostegno post‑cura: senza una rete familiare e sociale preparata, il rischio di ricaduta aumenta drasticamente; il paziente ha bisogno di sentirsi accompagnato anche dopo la fase clinica;
- arresto dello sviluppo emotivo: chi ha iniziato a consumare in giovane età resta bloccato a quel livello di maturità e, dopo decenni di dipendenza, fatica a gestire emozioni e relazioni adulte.
La ricaduta, dunque, non va interpretata come un segno di debolezza, ma come un campanello d’allarme che indica la necessità di un intervento integrato: medico, psicologico, sociale e spirituale. Solo così il percorso di recupero può diventare stabile e duraturo.
Esperienze di successo
Le testimonianze raccolte nei centri di recupero mostrano che è possibile risorgere dalla dipendenza e ricostruire la propria vita. Di seguito accenniamo ad alcune reali esperienze, che rendono evidente come il recupero e il reinserimento siano possibili.
- Un giovane laureando, caduto nella dipendenza da metanfetamine dopo un fallimento affettivo, ha ritrovato equilibrio grazie a un percorso integrato di cura e sostegno. Oggi, dopo quattro anni di sobrietà, è sposato, padre di famiglia e reinserito nel lavoro.
- Un ex imprenditore, travolto dall’uso di oppiacei e dalla perdita dell’azienda, ha ricostruito la propria esistenza grazie al sostegno della comunità religiosa. Dopo sei anni di astinenza, è tornato a guidare un’attività e a sostenere altri pazienti nel loro percorso.
- Una giovane madre, segnata dall’alcolismo e dalla separazione familiare, ha ritrovato stabilità attraverso programmi di cura e accompagnamento spirituale. Oggi vive con i figli, partecipa attivamente alla vita comunitaria e testimonia la possibilità di rinascita.
Indicazioni chiave per i divulgatori
I divulgatori, nel confronto con persone coinvolte nella dipendenza, devono prestare attenzione ad alcuni punti chiave per svolgere un ruolo realmente efficace di aiuto.
- Focus su educazione e prevenzione – L’energia e l’impegno dei divulgatori e degli attivisti sociali è meglio che siano orientati verso programmi di prevenzione e formazione. Lo slogan «la prevenzione è meglio della cura» trova qui piena applicazione: investire sull’educazione di bambini, adolescenti e giovani permette di evitare che essi entrino nelle fasi acute della dipendenza.
- Spezzare la “paura del detox” – Molti continuano a consumare non per desiderio, ma per un timore radicato: «se smetto, muoio» o «il mio corpo non reggerà». Questi falsi convincimenti impediscono l’avvio della cura. Aiutare a superare tali paure raccontando esperienze documentate e mostrando prove concrete — che attestano come migliaia di persone abbiano interrotto senza conseguenze permanenti — rappresenta un passo decisivo verso la guarigione.
- Offrire “alternative sane” – Alcuni pazienti temono che «se lascio la sostanza, non avrò nulla in cambio». In realtà, amore, compassione, accompagnamento e una rete di sostegno possono colmare quel vuoto. Il divulgatore, come consigliere e amico, è decisivo nel generare queste risorse: amicizia autentica e supporto sociale diventano pilastri che proteggono dalla ricaduta.
- Educare la famiglia e la rete di sostegno – La famiglia e l’ambiente sociale devono essere preparati a offrire un contesto sicuro e solidale al recupero. Il cambiamento dell’atteggiamento dei familiari verso chi è in fase di guarigione è decisivo per la stabilità e la durata del percorso di recupero.
In sintesi, il compito dei divulgatori non si esaurisce nell’offrire consigli, ma consiste nel costruire fiducia, accompagnamento e speranza. Educazione, sostegno affettivo e formazione della rete familiare diventano strumenti concreti per trasformare la fragilità in rinascita. È in questa missione che il divulgatore religioso trova la sua forza: restituire dignità e aprire la strada a un futuro libero dalla dipendenza.
Your Comment